Il magazine della cooperativa sociale Proges

Disabilità e territorio, una giornata di indagine e confronto su progettualità e opportunità future

Il 17 aprile un work-shop ad invito è stato il momento conclusivo di indagine e di riflessione di una ricerca-azione promossa nell’ambito di un progetto di socializzazione e tempo libero dei tre Comuni di Colorno, Sorbolo Mezzani e Torrile. Alla sala P. Impastato del Comune di Torrile si è realizzata l’occasione per amministratori, funzionari e tecnici dei Comuni, della cooperazione sociale (tra cui Proges che è promotore e gestore di molti progetti sul territorio), dell’associazionismo, delle famiglie e della scuola, di confrontarsi e portare in una discussione comune le rappresentazioni, i modelli educativi, il linguaggio e le progettualità pensati e attivati per le persone con disabilità.

 

Questo il filo rosso teso dalla cooperativa sociale Proges, che con la moderazione di Carlo Lepri, formatore, psicologo e docente dell’Università di Genova, ha messo in evidenza una rete di “pensieri sporgenti”, di parole ricche della consapevolezza di doversi interrogare e mettere in continua discussione circa i bisogni e i diritti delle persone con disabilità.

 

Il work-shop, dal titolo “Comunità, territorio e progetti: opportunità per le persone con disabilità”, si è sviluppato attraverso il lavoro di confronto tra tre gruppi (ognuno con una rappresentatività mista) e la successiva restituzione collettiva di quanto elaborato con l’obiettivo e l’augurio di tenere unita la visione di comunità come grande, collettiva e dialogante ma soprattutto competente perché in grado di costruire progetti dedicati alla persona con disabilità attenti e orientati all’inclusività e dotati delle giuste risorse.

Queste alcune delle riflessioni emerse nel corso dell’incontro.

 

Abbandonare la rappresentazione obsoleta della persona con disabilità come “eterno bambino” e costruirne di nuove (e condivise)

 

Il bisogno e il desiderio di trovare degli spazi di riflessione e confronto tra le famiglie per provare a immaginare adulti i propri figli con disabilità e costruire delle rappresentazioni condivise – la discussione del primo gruppo di lavoro parte da qui, dallo scambio di esperienze di persone che quotidianamente lavorano a contatto con ragazzi e ragazze con disabilità e con le loro famiglie. Famiglie spesso restie – raccontano – ad affrontare il tema dell’adultità, ad affrontare quel percorso insidioso ma necessario verso una sempre maggiore autonomia del figlio o della figlia con disabilità.

 

“Fondamentale risulta lavorare sull’adultità, sulle potenzialità, individualità e peculiarità di ciascuno e provare a colmare quelle lacune di autonomia che si possono presentare. L’obiettivo è costruire una rappresentazione di adultità che sia consapevole che un limite, sì, esiste, ma che il limite si può affrontare nella dimensione del gruppo, la quale è facilitante e anche di supporto”.

 

 

L’adultità come fattore di “coinvolgimento attivo” è un concetto nuovo, “che spaventa”, forse, per famiglie ed educatori che talvolta non intravvedono nella persona con disabilità la capacità di essere protagonista della propria vita, di scegliere in autonomia, di indirizzare tempo ed energie alla scoperta di una propria personalità, dei propri desideri e delle proprie aspirazioni. In poche parole, del futuro sé adulto. Cadere nella trappola dell’accomodamento, della sterile scorciatoia educativa è facile, ma oggi più che mai si è chiamati a spezzare la catena rappresentazione > atteggiamento > comportamento legata alla disabilità e che si è sedimentata in modelli educativi passati che nulla hanno a che vedere con inclusione e benessere dell’individuo con disabilità. Dove il superamento dello stereotipo è lo sforzo a cui professionisti e famigliari insieme a tutta la comunità, sono chiamati fortemente.

 

Benessere e inclusione sociale: immaginare adulta la persona con disabilità già a partire dalla tenera età

 

Che si parli di scuola, servizi sociali territoriali, famiglia, centri aggregativi, centri socio-occupazionali o altro, il contesto che ruota attorno alla persona con disabilità deve essere inclusivo. Ma come? Intorno a questo interrogativo il secondo gruppo di lavoro sviluppa la propria riflessione.

 

Ogni contesto può essere inclusivo nel momento in cui ci si rende il collante di quello che è il percorso di crescita dell’individuo. E lo fa rendendosi flessibile: a seconda dei momenti della vita della persona con disabilità ci sono richieste che sono diverse, che sono legate alla contingenza del momento. Per questo motivo occorre creare opportunità di scelta rispetto a chi e a che cosa si vuole diventare. E lo si fa ovviamente facilitando l’acquisizione di competenze e abilità”.

 

 

Immaginare adulta la persona con disabilità non è compito esclusivo dei genitori, della famiglia, diventa una questione fondamentale anche per l’educatore, per l’insegnante, per l’animatore: in questo modo – dunque costruendo l’immagine del futuro adulto sin da bambini – si possono creare molteplici prospettive, visioni tra le più diversificate di ciò che si può diventare accompagnando la persona nella sperimentazione e nella scoperta continua di sé.

 

Promozione della sperimentazione, di autonomizzazione e consapevolezza dei propri desideri e competenze: creare “percorsi di fiducia” per la persona con disabilità

 

Come si promuove e, allo stesso tempo, protegge una persona con disabilità? Come condurla nel percorso della vita, dell’adultità, senza scontrarsi con le rappresentazioni spesso obsolete e contaminate da stereotipi culturali che ognuno di noi ha della persona con disabilità? – intorno a queste domande ruota la discussione intavolata dal terzo e ultimo gruppo di lavoro. Ciò che emerge è la necessità di slegarsi, di abbandonare il pensiero del voler tutelare e proteggere la persona con disabilità attraverso percorsi sterili e poveri di sperimentazione.

 

“C’è poca attenzione verso i giovani che stanno diventando adulti: i loro desideri e la loro volontà rischia di essere tenuta poco in considerazione. Cosa ne consegue? Che la persona nella sua adultità si porta dietro una rappresentazione di se stesso un po’ ambivalente, è incapace di riconoscere le proprie reali competenze, aspirazioni e desideri. Bisogna mettere in discussione questo aspetto, ma come? Attraverso un potenziamento di percorsi di autonomizzazione, ‘percorsi di fiducia’, ma anche dedicare più tempo al fare equipe e cercare un confronto con tutti quelli che sono i protagonisti dell’intorno di questi giovani.”

 

 

Da questo approccio possono nascere inevitabili timori e difficoltà, ma anche prospettive incoraggianti: da una maggiore equità della rappresentazione che si ha delle persone con disabilità possono nascere percorsi, collaborazioni occupazionali in cui il ragazzo si fa portatore di ricchezza e competenze, che migliora sé, gli altri, il contesto e la comunità. F.R.

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