L’analisi e l’osservazione dei flussi migratori, la comprensione delle ragioni e i cambiamenti che questi moti hanno affrontato nel corso del tempo. Da qui si è sviluppato il focus del Crash Course nell’ambito delle lezioni di Global Perspectives, organizzato dal Prof. Stefano Manici per alunni e alunne delle classi 1° e 3° del Liceo Steam International Parma.
Una lezione verticale, interamente svolta in lingua inglese, tenuta dalla dott.ssa Chiara Marchetti, PhD in Sociologia delle relazioni interculturali presso l’Università degli Studi di Milano, sviluppatrice di progetti per il CIAC – Centro per le Migrazioni e l’Asilo, nonché membro fondatore dell’Escapes Laboratory on Forced Migration, che riunisce più di 40 ricercatori e professionisti.
Titolo dell’incontro: “Humans moving: a snapshot of migratory flows, causes and responses in local territories”.
Un approfondimento sulle migrazioni sia a livello internazionale sia locale, osservate distinguendone le possibili cause, siano esse per libera scelta o forzate in virtù di discriminazioni, guerra, disastri naturali o motivi economici. Ed è questo secondo caso a rappresentare un cambio radicale nella vita del singolo e della famiglia, un cambio spesso troppo complesso da gestire poiché inevitabilmente intrecciato con equilibri politici a livello mondiale.
Perché quello che Chiara Marchetti ha sottolineato è quanto a variare siano le modalità di migrazione a seconda del Paese di appartenenza o di quello che si desidera raggiungere. E si tratta di una questione che può aprire esattamente come chiudere molte porte, assicurando o meno un futuro ai migranti coinvolti. In questo contesto si inserisce il ruolo fondamentale delle relazioni internazionali, così come l’aspetto che diventa lasciapassare o, al contrario, impossibilità di movimento: la necessità di possedere in primis il passaporto e, in determinate situazioni, anche il Visto, che non a tutti i Paesi viene concesso.
Ma come vengono gestiti i flussi migratori? E soprattutto, uno Stato ha la possibilità di chiudere gli ingressi, anche in presenza di eventi gravi come conflitti?
A scrivere quali comportamenti devono tenere i vari Paesi sono le convenzioni internazionali, una fra tutte la Convenzione di Ginevra del 1951, il cui principio fondamentale è quello del non-refoulement, che afferma che ‘nessun rifugiato può essere respinto verso un Paese in cui la propria vita o libertà potrebbero essere seriamente minacciate’. Il punto centrale, il nodo che fa la differenza, sta in una parola: “rifugiato”. È proprio questa definizione l’unica che può impedire a uno Stato di rifiutare chi desidera chiedere asilo.
Chiara Marchetti ha però sottolineato che esiste un limite: c’è sì da parte dei Paesi l’obbligo a far rimanere un rifugiato all’interno dei propri confini nazionali, ma non di assegnare passaporto o Visto. Questo significa che, eventualmente, chi si muove è costretto a farlo in regime di illegalità, per poi diventare immediatamente regolare all’arrivo. Ciò evidenza una dicotomia dal punto di vista politico e da quello etico.
Vi è poi una ulteriore distinzione per quanto concerne i flussi migratori, perché la maggior parte delle persone che sono costrette a migrare, scelgono di farlo il più vicino possibile con la speranza di poter tornare. Ne è un esempio recente la guerra in Ucraina, per la quale è stata altresì decisa l’abolizione della necessità del Visto così da permettere alle persone di muoversi il più agevolmente possibile.
La lezione ha, infine, affrontato la questione più burocratica della gestione dei migranti, delle tempistiche di risposta e dell’impatto umano e sociale che questo iter comporta.
“Durante questo incontro ho voluto trasmettere degli elementi di conoscenza, ma anche degli stimoli di riflessione rispetto a cosa condiziona i flussi migratori a livello globale, quindi quali sono le ragioni per cui le persone lasciano il loro Paese e come mai, nella maggior parte dei casi, sono costrette a farlo in modo illegale, elemento che ne condiziona inevitabilmente le possibilità di futuro e integrazione. – evidenzia Chiara Marchetti – Provando a capire quali sono le principali norme che regolano questo ambito in Italia, ma anche quali sono i percorsi concreti che le persone attraversano nel momento in cui arrivano sul suolo italiano, ho provato a rappresentare concretamente opportunità o ostacoli che si trovano ad affrontare. E quello che ho notato nei ragazzi e ragazze è stata grande attenzione, capacità di analisi e di porre domande utili a mettere in luce le contraddizioni di questo sistema: mi riferisco al dovere o meno di accogliere tutti, oppure di interrogarsi rispetto ai limiti dei percorsi che questi flussi migratori compiono. Sono domande legate a questioni che non hanno risposte univoche o soluzioni a portata di mano, loro sono stati in grado di intercettarle ponendosi quesiti in modo critico”. CM