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“Cura e Cultura fanno di Magnete un luogo unico”. Intervista a Noemi Satta

A metà novembre è stato presentato a Magnete presso Adriano Community Center un libro speciale: ‘La cultura cura. Progettare nuovi centri culturali in tempi incerti’.

Speciale perché racconta la storia di Magnete Milano, il percorso con cui è nato, l’idea di “cultura come cura e di cura come cultura” che persegue, la sua funzione nell’Adriano Community Center come hub di servizi e piazza del quartiere, la rete ibrida di realtà che lo compone e l’intergenerazionalità che lo anima.

Abbiamo intervistato la curatrice Noemi Satta, esperta di innovazione culturale e manager strategica che si occupa di politiche pubbliche, partecipazione e co-design di processi e progetti per enti pubblici e privati, fondazioni e comunità territoriali. Dal 2020 segue la regia strategica di Magnete, con Shifton, studio di design per l’innovazione sociale, shifton.it

Perché hai deciso di scrivere un libro su Magnete?

“La cultura cura. Progettare nuovi centri culturali in tempi incerti” nasce per ripercorrere un periodo di circa sei anni, con attenzione al processo, al metodo, all’abilitazione al cambiamento. Volevo descrivere un percorso e farlo tramite Magnete a Milano, una case history specifica in cui è possibile ripercorrere il tentativo di ridare senso a un potenziale spazio pubblico e di incentivare e mettere a terra gli investimenti culturali, portando nel territorio risposte a nuove fragilità̀ e slancio per nuove opportunità̀.

 

 

Facciamo un passo indietro per i nostri lettori, puoi spiegarci cos’è la rigenerazione urbana?

Fondazione Cariplo, che di questo intervento è radice, facendo proprio l’approccio teorico della “rigenerazione urbana a base culturale” interpreta la riqualificazione urbanistico-architettonica come strumentale rispetto agli usi disegnati dagli attori locali portatori di interesse.

Prendendo quanto scrive Cristina Chiavarino nel testo si parte da “una nuova definizione di periferia, concetto che non si riferisce più solamente a determinate caratteristiche geografiche ma anche al livello di dotazione di servizi, di qualità del tessuto urbano e di condizioni socio-economiche degli abitanti, si è scelto di intervenire sulla promozione di un’offerta culturale diffusa, inclusiva e integrata come chiave per il rilancio dei territori oggetto d’intervento”.

La prospettiva della rigenerazione urbana a base culturale focalizza l’attenzione sulla costruzione di leganti tra persone, di relazioni tra comunità, di ingaggio in azioni condivise che producano un processo collettivo.

Con le parole di Francesca Cognetti nel testo “il progetto, in questa prospettiva, deve essere capace di mobilitare contemporaneamente elementi materiali e immateriali: la dimensione dei legami sociali e delle modalità̀ con cui una persona diviene risorsa all’interno di una esperienza sociale inclusiva e proattiva, riacquistando posizionamento e ruolo e rafforzando microcomunità̀; la dimensione dello spazio che diviene un “addensatore” di diverse mansioni, funzioni e significati, a volte anche alimentando nuove forme di economia locale.”

Quest’idea di intervento nel territorio tra spazio da risignificare e comunità al centro, ha le sue radici profonde nella capacità di immaginare un futuro (Appadurai): questa abilità potrebbe essere considerata la base del fare insieme, tutta da reimparare e da non dare per scontata, come una grammatica per una lingua antica, con una sua sintassi che va ripresa, fondamentale non solo nel momento dell’avvio di un community hub in un territorio. E’ una competenza legata al co-progettare il cambiamento insieme. Chiede tempi lunghi e attraversa naturalmente fasi lente e veloci. Non è quindi, come spesso capita nei processi di capacitazione territoriale, l’etichetta a definire il processo (in questo caso quella di rigenerazione urbana culturale) ma gli strumenti e i modi in cui questo è condotto dai soggetti attivatori con le persone e le organizzazioni interessate.

 

Adriano Community Days: le migliori esperienze di cura e cultura del quartiere a Magnete

 

Cosa credi abbia di rilevante il progetto di Magnete?

Unisce due modelli operativi (RSA e community hub a base culturale) con ambiti e perimetri di lavoro diversi, e ne amplifica le intersezioni. In modo non banale la cura diventa un fattore e un fatto politico, perché correlata direttamente all’essere comunità. Si può essere comunità in molti modi: qui si parla di comunità interdipendenti, aperte al more than human, e si accoglie un’idea forte di pluralità. La cultura è non solo un fatto politico ma diventa un esercizio collettivo di ascolto, di apprendimento, di esplorazione e di ricerca, di progettazione collettiva.

Magnete è un unicum proprio per queste due radici, Cura e Cultura, così ben intersecate, con una forte vocazione all’intergenerazionalità.

Perché oggi è importante per una cooperativa sociale che si occupa di servizi alla persona spendersi anche in progetti culturali?

La cultura è l’ambito entro il quale è possibile immaginare il futuro. E’ una capability che amplifica le caratteristiche di cittadinanza attiva: non c’è sviluppo del territorio senza competenze legate alla conoscenza. Cultura è azione di costruzione di libertà, nel senso più pieno e democratico.

E’ sempre di tipo culturale la “palestra” che ci allena al fare insieme, al dare forma a mondi nuovi, a ricostruire, a immaginare, a collegare: funzioni sempre più necessarie per immaginare il cambiamento desiderato o necessario.

 

INTERVISTA – Paolo Ferrario (e-work): “Magnete Bistrot è socialità, svago, opportunità di lavoro”

 

Ecco perché l’investimento in cultura è sempre investimento in libertà, in democrazia, in capacità di progettare il mondo.

E per i mondi professionali, quella che può sembrare una pausa, un momento di ozio rispetto alle attività stringenti e necessarie, è invece un momento vitale di nutrimento, per rimettere vocazioni e motivazioni nel proprio mestiere.

E’ da auspicare un sempre più forte investimento in cultura, che sia anche azione di ricerca, di esplorazione di ambiti nuovi, di sperimentazione di nuovi linguaggi, destinato quindi anche solo a dare spazio ad artisti selezionati in percorsi specifici di lavoro.

In modo radicale, o per meglio dire andando alle radici, investire in cultura significa investire in benessere. Il centro delle attività anche del mondo cooperativo.

Andrea Marsiletti

 

Satta N. (a cura di), La cultura cura. Progettare nuove centri culturali in tempi incerti, Vita e Pensiero, Milano, 2023

Contributi di Guglielmo Apolloni, Lucia Borso, Guido Cavalli, Francesca Cognetti De Martis, Sara Carmagnola, Cristina Chiavarino, Paolo Ferrario, Roberta Franceschinelli, Emanuel Ingrao, Josephine Magliozzi, Marco Miodini, Isnaba Miranda, Bertram Niessen, Annalisa Pelacci, Linda di Pietro, Daniela Vaccaro

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