Il magazine della cooperativa sociale Proges

Il sostegno psicologico ai lavoratori nei servizi alla persona. INTERVISTA ad Alessandro Fusaro

Alessandro Fusaro, nato e residente ad Aosta, è iscritto all’Ordine Psicologi della Valle d’Aosta.

Laureato in psicologia clinica e di Comunità, è specializzato in psicoterapia, psicoanalisi e in filosofia della persona. Collabora con servizi alla persona in Valle d’Aosta, Piemonte, Emilia-Romagna.

Come psicoterapeuta, svolge attività di supervisore a favore di operatori sanitari e scolastici. In ambito di psicologia sociale coordina servizi per anziani affetti da patologie psichiatriche.

Ha inoltre esperienza in ambito amministrativo, in quanto consigliere presso cooperative sociali operanti in Valle d’Aosta, Piemonte, Emilia-Romagna.

Lo abbiamo intervistato.

Ci puoi parlare dell’esperienza con SMA (Società di Mutua Assistenza) sullo sportello di ascolto e sostegno psicologico ai lavoratori di Proges?

Valuto molto positivamente l’esperienza, in termini di risposta innanzitutto. Ci sono state molte richieste. Molti hanno chiesto inoltre di proseguire il percorso dopo il primo ciclo. Questo è un ottimo segnale. Il percorso dura tuttora, le richieste di presa in carico continuano ad arrivare.

Ma occorre andare anche oltre il dato quantitativo, analizzando quello qualitativo.

Nel mondo Proges è aumentata la consapevolezza circa l’importanza della cura di sé: è un segnale importante, che va rilevato.

Le domande sono state fatte da lavoratori, ma in realtà vanno oltre l’ambito del lavoro. La separazione netta tra lavoro e vita personale oggi rischia di essere un po’ superata. Occorre esserne consapevoli, innanzitutto come operatori, soprattutto in ambito sociale.

 

La tecnologia, i servizi socio-sanitari, il Terzo Settore

 

In generale, c’è consapevolezza di quanto possa essere importante il sostegno psicologico, o le persone ci “sbattono” contro quando sono già al limite o in burnout?

In realtà, ed è positivo, succede sempre meno che vengano quando sono già in burnout, o in una situazione compromessa.

Questo è stato uno dei pochi effetti positivi della pandemia: è aumentata nella popolazione la sensibilità rispetto al bisogno di supporto psicologico. Quindi, in media, le persone sono più sensibili anche in caso di non urgenza.

Quale rapporto ci può/deve essere tra terapeuta e operatore (in ambito anziani) o tra terapeuta ed educatore, più in generale…

Il rapporto deve essere intenso e sempre più esteso, intendendo queste due figure – operatore e terapeuta – come ruoli di una stessa equipe. Ci si supporta e ci si integra reciprocamente. Il rapporto tra psicologo e operatore lo tratterei in modo piuttosto trasversale ai vari ambiti, che siano infanzia, adolescenza o anzianità: le dinamiche di fondo sono le stesse, pur trattandosi di età con caratteristiche differenti, con cui si ha a che fare. Ci sono tre ambiti, propri del lavoro di cura, in cui può essere utile il supporto dello psicologo:

il supporto nella decodifica della complessità: ovvero capire meglio il lavoro che si sta facendo con le persone, che per natura sfuggono a classificazioni predeterminate. Lo psicologo può dare letture di decodifica della complessità; l’operatore trova nello psicologo un ascolto rispetto alle proprie criticità, alle proprie fatiche, sensibilità, ferite personali che l’esperienza lavorativa enfatizza. Il lavoro con le persone ricorda all’operatore che lo strumento è lui, e questo strumento deve essere ben curato ed operativo, nel tempo;

il supporto dello psicologo rispetto alle dinamiche relazionali lavorative. In tutti i contesti lavorativi comunitari gli elementi principali di stress sono attribuibili alle relazioni tra pari (ovvero tra lavoratori), più che alle relazioni con i soggetti seguiti. È un dato di fatto, verificato e confermato dalla letteratura scientifica. Quindi, se le relazioni lavorative funzionano bene, anche il lavoro funziona bene, in caso contrario, lo stress aumenta e il “clima aziendale” ne risente negativamente.

 

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Delle strategie per contrastare l’invecchiamento mentale ne abbiamo già parlato anche con i suoi colleghi psicologi di Assomensana (leggi Giuseppe Alfredo Iannoccari e leggi Simona Garatti). Ti chiederei in particolare quale tipo di dialogo/confronto può essere positivo e utile per prevenire tale invecchiamento.

Il dialogo è importante, fondamentale, nell’ambito delle relazioni. Ciò che sembra avere effetto protettivo, a livello psicologico, è il mantenimento dei legami di amicizia. Questi sono il luogo relazionale privilegiato, anche per chi non svolge più un’attività lavorativa. Per sostenere un dialogo con amici, occorre un’attenzione allenata, una memoria che funziona bene… questo incide direttamente, ad esempio, sulla fluenza verbale.

Il mantenimento delle funzioni relazionali è molto importante anche in senso motivazionale. Perché il dialogo ha ancora più valore nelle relazioni, come antidoto all’invecchiamento mentale? Perché dopo la fuoriuscita dal mondo lavorativo, in molti soggetti non ci sono molte altre occasioni di allenamento relazionale quotidiano. Anche il dialogo intergenerazionale è importante, ma va sfatato un mito: il dialogo è utile quando è continuativo, quindi quando non è affidato a occasioni sporadiche, come la “festa dei nonni”, che possono avere valore simbolico e ricreativo, ma non di prevenzione.

Alberto Padovani

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